Non è facile raccontare una guerra, soprattutto quando si parla dei conflitti moderni. Truppe irregolari, attentati, guerriglia, agguati: tutti quegli ordinati schieramenti di truppe a cui ci aveva abituato la storia sono scomparsi nell’ultimo secolo, lasciando spazio a conflitti sempre più difficili da riportare a parole.
Per fortuna, parallelamente a questi cambiamenti, è nato anche il giornalismo di guerra. Cioè i quotidiani prima e le TV poi hanno iniziato a spedire al fronte dei reporter in grado di documentare quanto stava accadendo.
Reporter che – per i rischi a cui andavano incontro – spesso sono entrati nel mito. Cerchiamo, oggi, di fare il punto sulla storia di questo mestiere che è uno dei più pericolosi al mondo tramite la nostra lista dei cinque più importanti reporter di guerra di sempre.
1. William Howard Russell
Il primo reporter di guerra, dalla Crimea e dagli Stati Uniti
Il primo, vero reporter di guerra fu probabilmente William Howard Russell. Fin dall’antichità, infatti, c’erano stati letterati e storici che si erano impegnati a raccontare i vari conflitti, riportando anche le loro esperienze personali e dirette.
Nessuno, però, aveva mai seguito le truppe per settimane e mesi, documentando giorno per giorno in un quotidiano quello che avveniva al fronte.
Il primo fu, appunto, Russell, che nel 1854, trentaquattrenne, fu inviato dal Times di Londra in Crimea, a seguire la guerra che lì contrapponeva Impero russo, Impero ottomano, Francia, Gran Bretagna e Regno di Sardegna.
Russell si era formato negli anni precedenti occupandosi soprattutto di cause giudiziarie e di lavori parlamentari. In Crimea si mise a seguire i movimenti e le azioni delle truppe britanniche, spedendo le sue corrispondenze a Londra via telegrafo.
Una novità importante
I suoi articoli, inediti per l’epoca, ebbero un successo clamoroso, che gli costò anche caro. Spirito indomito, Russell non mancò infatti di segnalare le precarie condizioni in cui vivevano i soldati di sua maestà e l’esito spesso tutt’altro che glorioso delle loro azioni.
Questo gli costò il rimpatrio, perché l’esercito britannico, all’epoca, non era certo disposto ad accettare toni “disfattisti”.
Tornò a interessarsi di guerra quando il suo giornale lo spedì in America durante la Guerra di Secessione. Anche qui non mancò di esprimere però le proprie opinioni sul conflitto, anche andando contro agli interessi britannici. Cosa che lo costrinse ad un altro rimpatrio.
2. Ferdinando Petruccelli della Gattina
Le guerre italiane (e non solo)
In questa lista troverete soprattutto giornalisti angloamericani, perché è indubbio che molte cose, in questo settore, le hanno fatte loro per primi. Ma anche l’Italia ha una sua gloria che merita di stare coi migliori: Ferdinando Petruccelli della Gattina.
A livello internazionale, questo nostro compatriota di cui, da noi, non si sente molto parlare è considerato infatti uno dei padri del giornalismo moderno, soprattutto grazie alle sue corrispondenze di guerra.
Nato in Basilicata nel 1815, Petruccelli si formò in una famiglia di massoni, sviluppando un forte anticlericalismo. Iniziò a collaborare con varie riviste già nel 1838, mandando corrispondenze da diverse parti d’Europa.
Amante della polemica e armato di una penna che veniva all’epoca definita “velenosissima”, diresse vari giornali che appoggiarono i moti liberali, giornali che spesso furono chiusi dall’autorità.
In Francia
Questo lo portò a stabilirsi in Francia, dove combatté coi repubblicani contro il colpo di stato di Luigi Bonaparte. Sconfitto, lasciò la Francia e si stabilì in Gran Bretagna, dove entrò in contatto con Giuseppe Mazzini e Charles Dickens.
Nel 1859 tornò in Italia per seguire Garibaldi e i suoi mille. Durante la Seconda guerra d’indipendenza mandò articoli e corrispondenze a giornali inglesi, francesi e belgi, colpendo i lettori di quelle nazioni per la vitalità dei suoi racconti.
Amato da scrittori e colleghi giornalisti, seguì anche la Terza guerra d’indipendenza e, spostatosi di nuovo in Francia, la Guerra franco-prussiana.
Per aver difeso i comunardi di Parigi, fu di nuovo espulso dalla Francia, anche se vi sarebbe tornato anni dopo. Nel mezzo, fu eletto per quattro legislature alla Camera dei Deputati nelle file della sinistra storica.
3. Philip Gibbs
Uno dei corrispondenti più famosi della Prima guerra mondiale
Le guerre di cui abbiamo parlato finora erano ancora conflitti tutto sommato tradizionali. Tutto cambiò con la Grande guerra, che presentò ai soldati e ai corrispondenti una realtà del tutto nuova.
Anche in questo caso, furono gli inglesi – maggiormente abituati a un giornalismo “aggressivo” – a dettare la linea. Una manciata di corrispondenti iniziò a seguire le truppe britanniche sul fronte occidentale, e tra questi quello forse più importante fu Philip Gibbs.
Nato nei dintorni di Londra nel 1877, aveva iniziato a lavorare nel settore a 17 anni. Durante i primi anni del secolo aveva acquisito una certa fama seguendo il movimento delle suffragette, e segnando con i suoi articoli il successo dei Daily Mail, tabloid di vedute conservatrici da poco lanciato.
Fu proprio per questo (e per altri quotidiani) che nel 1914 partì per l’Europa, seguendo alcune delle battaglie che avevano coinvolto l’esercito di sua maestà dalla Francia al Belgio. E fino al 1917 poté descrivere con una certa libertà quello che vedeva.
L’arresto
Il suo resoconto della Battaglia di Messines, in Belgio, però gli costò caro. Quello scontro fu una delle più importanti (e una delle poche) vittorie inglesi, ma Gibbs non mancò di raccontare lo scempio dei corpi – anche nemici – che le nuove armi e in particolare le mine producevano sui soldati.
Gli fu intimato dall’esercito di ritornare in patria e, al suo rifiuto, venne arrestato.
Poté ritornare al fronte come corrispondente del Daily Telegraph solo qualche mese più tardi, ma dovette accettare che i suoi articoli fossero sempre sottoposti al vaglio della censura. Si sarebbe rifatto dopo la fine del conflitto, pubblicando vari libri di memorie, stavolta liberi dai tagli dell’esercito.
4. Marguerite Higgins
La prima donna a vincere il Premio Pulitzer
Nell’immaginario, quello del reporter di guerra pare essere un lavoro per soli uomini. Ed in effetti è stato a lungo così.
Ci sono state però delle giornaliste che, nel corso degli anni, hanno lottato con le unghie e con i denti per poter raccontare, anche loro, la guerra, riuscendo a farlo spesso con una qualità da far invidia a molti dei loro colleghi maschi. In questo senso è emblematica la figura di Marguerite Higgins, forse la più importante reporter di guerra donna del Novecento.
Nata ad Hong Kong – da un padre che lì seguiva degli affari commerciali – nel 1920, ritornò negli Stati Uniti a tre anni e lì crebbe. Si laureò a Berkeley nel 1941, iniziando a scrivere nel giornale dell’università.
Diplomata poi alla Scuola di giornalismo della Columbia University, iniziò a lavorare al New York Herald Tribune, sperando di riuscire a farsi inviare in Europa per seguire i combattimenti della Seconda guerra mondiale.
Durante la Seconda guerra mondiale
Riuscì a realizzare questo sogno nel 1944, prima lavorando nelle retrovie e poi aggregandosi alle truppe. Assistette così alla liberazione del campo di Dachau e seguì poi il processo di Norimberga.
Allo scoppio della Guerra di Corea si recò subito sul posto, raccontando i primi scontri. Poco dopo però fu espulsa dal paese dal generale Walker, che riteneva non ci fosse spazio per donne tra i soldati.
Lei si appellò quindi al diretto superiore di Walker, il celebre generale MacArthur, che la riammise subito nella zona di guerra con un telegramma in cui rinnovava la sua stima per la giornalista. Tra l’altro questo lavoro la portò, nel 1951, a vincere il Premio Pulitzer, condiviso con cinque colleghi maschi.
Negli anni successivi intervistò vari leader mondiali e rimase una delle donne più importanti del giornalismo americano, ma morì nel 1966, appena quarantacinquenne, a causa della leishmaniosi contratta durante uno dei suoi reportage.
5. Michael Herr
L’esperto della Guerra del Vietnam
Concludiamo con un reporter più recente e, soprattutto, ancora in vita: Michael Herr. Nato a Syracuse, non lontano da New York, nel 1940, Herr cominciò la sua attività di corrispondente di guerra nel 1967, quando fu mandato da Esquire in Vietnam.
Per due anni seguì la vita dei militari americani in quella che è stata una delle guerre più sconvolgenti di sempre, fino a quando nel 1969 non rientrò in patria.
Tra il 1971 e il 1975 non pubblicò nulla, ma nel 1977 fece uscire un libro intitolato Dispatches (Dispacci, recentemente riedito anche in Italia con un’introduzione di Roberto Saviano).
Un libro che è considerato tra i capostipiti del genere del non-fiction novel e che racconta proprio l’esperienza di Herr in Vietnam. La critica fu, fin da subito, entusiasta. La Book Review del New York Times lo elesse il miglior libro su quella guerra, mentre John le Carré lo menzionò come il miglior libro moderno sui soldati al fronte.
Al cinema
Quel successo portò Herr a lavorare col cinema. Collaborò infatti alla sceneggiatura di due capolavori come Apocalypse Now e Full Metal Jacket, ottenendo anche una nomination agli Oscar.
Da quel momento in poi, però, Herr ha sostanzialmente deciso di mettersi in pensione, collaborando solo saltuariamente con alcune riviste.