Negli ultimi decenni in Italia la politica s’è fatta essenzialmente un affare mediatico: qualsiasi capo di partito che vuole ambire a vincere le elezioni, infatti, si affida a consulenti di immagine, esperti di comunicazione e massmediologi per riuscire a comunicare al meglio all’elettorato, sfruttando il palcoscenico televisivo e tutti gli altri spazi che gli vengono offerti.
Nonostante questa estrema specializzazione, però, ci sono ancora aspetti che – quasi cellule impazzite all’interno di un organismo – di tanto in tanto lavorano contro il politico di turno, e uno dei principali è sicuramente la tendenza a cadere in gaffe più o meno pesanti.
Di certi politici, addirittura, è ormai più facile ricordare questi incidenti di percorso che non i loro discorsi più seri, che col tempo finiscono nel dimenticatoio.
Ma, se vogliamo portare avanti un’analisi delle gaffe nella politica italiana, non ci possiamo limitare a un mero elenco di inciampi: perché esistono vari tipi di gaffe, così come esistono vari tipi di gaffeur, ma, ancora più importante, esistono anche svantaggi e a volte vantaggi politici che si legano ad ogni tipo di gaffe.
Quando si parla di gaffe in politica non si può non partire dall’uomo che ha elevato la gaffe non più solo a un incidente di percorso o a un inciampo nel discorso, ma addirittura al livello di uno strumento politico.
Come è stato già teorizzato da altri ben prima di noi, la capacità di Silvio Berlusconi di fare ad esempio figuracce all’estero è stato un modo attraverso cui il leader di Forza Italia è riuscito a rendersi simpatico al proprio elettorato, a dare l’idea di essere “uno del popolo” molto più che non con campagne pubblicitarie ad hoc.
Le corna nelle foto ufficiali, il fare attendere la Merkel mentre si è al telefono, i nomi sbagliati dei capi di stato e di governo stranieri, i complimenti eccessivi alle donne di tutti i livelli, il chiamare Obama “abbronzato” e poi inseguirlo per una foto provocando le ire della regina Elisabetta II, addirittura il cucù ai vertici internazionali: queste cose lo hanno reso per molti uno zimbello, ma per altrettanti un uomo libero dai condizionamenti dell’etichetta, vicino e non artefatto nei comportamenti.
Insomma, le gaffe in Berlusconi sono diventate pienamente un modo di fare politica, e non a caso il patron del Milan è l’unico in Italia ad essere riuscito il più delle volte a trarre vantaggio da queste sue cadute di stile.
Una menzione di merito, però, secondo me va a due gaffe, una perché obiettivamente spassosa, l’altra perché imbarazzante e memorabile.
La prima risale a quando Berlusconi era ancora Presidente del Consiglio e in una conferenza stampa, lamentandosi di essere perseguitato dalla magistratura, disse: «Ho la fortuna, avendo lavorato bene nel passato e avendo messo da parte un patrimonio importante, di avere potuto spendere più di 200 milioni di euro per consulenti e giudici», un lapsus che non passò inosservato a chi lo accusava di essere un corruttore.
La seconda invece ci rimanda alla celebre seduta del Parlamento Europeo del luglio 2003 in cui prima propose al deputato tedesco Martin Schulz di recitare come kapò in un film e poi accusò il Parlamento stesso di non capire la sua ironia.
Passiamo ora a quello che, nella scorsa tornata elettorale, è stato il principale avversario di Silvio Berlusconi, cioè Pier Luigi Bersani – al quale rivolgiamo i nostri migliori auguri di pronta guarigione, e che abbiamo inserito in questa lista giusto perché ormai tutti ci assicurano che stia bene e perché, come vedrete, il nostro vorrebbe essere un omaggio affettuoso.
Ma tra Silvio e Pier Luigi non è solo questione di differenze politiche: tra le gaffe di Berlusconi e quelle dell’ex segretario del PD c’è una differenza abissale, perché se il primo esalta la gaffe volontaria ed esagerata, il secondo è il classico esempio di gaffeur involontario, che incorre in frasi infelici senza neppure rendersene conto, soprattutto perché queste frasi risultano infelici più alla prova dei fatti che non in sé e per sé.
Prendiamo ad esempio la celebre battuta sul “giaguaro da smacchiare” che ha caratterizzato la scorsa campagna elettorale: se Bersani avesse vinto le elezioni, quella frase probabilmente sarebbe stata presto dimenticata, ma visto che è avvenuto il contrario si è trasformata in un tormentone della politica e un perenne monito all’incapacità del PD di superare il berlusconismo.
Si potrebbero, in questo senso, citare anche le numerose e bizzarre metafore che Bersani è solito usare, ma la gaffe che io personalmente preferisco risale al marzo 2010, quando l’allora leader del principale partito dell’opposizione se ne uscì con questa battuta: «L’altro giorno ho detto che Berlusconi è un disco rotto. Ora dico che è un CD rotto, così mi faccio capire anche dai giovani».
Una battuta che, se pronunciata nel 1994, sarebbe stata probabilmente azzeccata, ma che quindici anni dopo dà la misura di come il Partito Democratico faccia ancora fatica a parlare alla gente oggi, in un momento in cui il CD è archeologia e perfino l’MP3 si avvia rapidamente ad essere messo da parte.
Siamo partiti coi pezzi da novanta, Berlusconi e Bersani, ma in realtà la madre di tutte le gaffe a nostro avviso non riguarda un leader di partito ma un ex ministro, cioè Maria Stella Gelmini, responsabile, nel IV governo Berlusconi, del dicastero dell’Istruzione.
I fatti sono noti, ma vale la pena ricordarli brevemente: nel settembre 2011 al CERN di Ginevra – l’Organizzazione Europea per la Ricerca sul Nucleare, finanziata da vari paesi del nostro continente e quindi anche dall’Italia, che ha sempre contribuito con fondi ma anche con importanti ricercatori – hanno eseguito un importante esperimento lanciando dei neutrini a una velocità prossima a quella della luce.
L’esperimento ha avuto stranamente una buona eco mediatica, e il ministro ha pensato bene di lanciare un comunicato stampa per sottolineare il contributo italiano alla scoperta.
Peccato che il ministro (o quantomeno il suo ufficio stampa) non avesse ben chiaro non solo come funzionino gli esperimenti coi neutrini, ma neppure cosa ci sia sotto alla terra degli italiani: dal CERN infatti i neutrini sono stati sì sparati verso il Gran Sasso, ma, non interagendo con la materia, essi sono passati attraverso le rocce.
Nel comunicato della Gelmini, invece, si parlava esplicitamente di un tunnel che collegava il CERN di Ginevra coi laboratori del Gran Sasso e che quindi attraversava mezza Italia, un tunnel che, se fosse esistito davvero, sarebbe costato uno sproposito.
E la gaffe si è forse addirittura aggravata quando lei, invece di ammettere l’errore, ha assunto l’atteggiamento della perseguitata, dichiarando pretestuose le polemiche.
Quella gaffe, unita alle proteste relative alla sua riforma della scuola, non ha certo fatto bene all’immagine dell’esponente del PDL, tanto che ancora oggi, a distanza di anni, si parla spesso di “tunnel della Gelmini”.
Anche se non è probabilmente perdonabile, una gaffe come quella della Gelmini è però tutto sommato comprensibile: i politici – soprattutto all’inizio della loro carriera – non sono tenuti ad essere necessariamente degli esperti in ogni ambito del settore di cui si occupano, ed incappare in un errore è sempre possibile (anche se l’errore del ministro PDL era stato memorabile).
Meno comprensibili sono invece le gaffe dei tecnici, che di ciò di cui parlano dovrebbero essere i massimi esperti.
Non solo: con la loro aura accademica, col loro grigiore e la loro serietà, i tecnici dovrebbero rappresentare l’esatto opposto del politico “alla Berlusconi”, cioè dovrebbero misurare le parole, non lasciarsi andare a commenti fuori luogo e inutili, rimanere ancorati ai e dati alla fredda esposizione degli stessi.
Anche i tecnici, però, ogni tanto qualche sorpresa la regalano e riescono a scrollarsi di dosso l’etichetta di burocrati, nel bene e nel male.
Nel nostro ultimo governo tecnico, quello guidato da Mario Monti tra l’autunno del 2011 e la primavera del 2013, un posto di particolare rilievo l’ha avuto l’economista Elsa Fornero, fino ad allora nota solo al mondo accademico ma ora diventata lo spauracchio di qualsiasi aspirante pensionato o esodato a causa della riforma che porta il suo nome.
Forse non troppo abituata a stare davanti alle telecamere, la Fornero, nel corso della sua permanenza al Ministero del Lavoro, è spesso incappata in gaffe o situazioni imbarazzanti, come ad esempio le lacrime in diretta durante la presentazione della sua riforma, che sulle prime, empaticamente, possono averle attirato un po’ di simpatia ma che alla lunga le hanno decisamente nuociuto.
La gaffe più clamorosa, però, risale all’ultima parte della sua attività come ministro, quando, ad un convegno, se ne uscì con parole che volevano essere d’incoraggiamento ma che paiono, ancora oggi, frustranti e snob, soprattutto davanti alla pesantissima crisi economica: «I giovani escono dalla scuola e devono trovare un’occupazione. Devono anche non essere troppo “choosy”, come dicono gli inglesi».
Finora – con l’eccezione del caso di Silvio Berlusconi contro Schulz – abbiamo presentato gaffe “gratuite”, cioè pronunciate quando non c’era reale necessità di pronunciarle. In termini sportivi si parlerebbe di “errore non forzato”, di una gaffe che si poteva tranquillamente evitare stando semplicemente zitti.
Più comuni sono invece gli inciampi che avvengono sotto forzatura, quando cioè un politico è messo sotto accusa, è alle strette ed è quindi più facile lasciarsi andare ad un’uscita infelice.
In questo senso, l’incidente probabilmente più celebre degli ultimi anni è quello in cui è incappato l’ex Ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, quando venne alla luce il fatto che il costoso appartamento vista Colosseo in cui risiedeva a Roma non era stato pagato interamente da lui, ma gli era stato almeno in parte regalato dal costruttore Diego Anemone, palesando un concreto rischio di corruzione.
In una situazione da cui era onestamente ben difficile uscire senza le ossa rotte, Scajola balbettò in conferenza stampa una scusa che è stata, da allora fino ad oggi, oggetto di un dileggio diffusissimo, diventando quasi un modo di dire della nostra lingua (nonostante, come si può vedere nel video qui di seguito, non l’abbia mai pronunciata con queste precise parole): «Quella casa mi è stata pagata a mia insaputa».